LA SENTENZA
Il tribunale civile di Roma ha deciso il risarcimento dei danni perché l’ex moglie ha «ostacolato il funzionamento dell’affido condiviso con atteggiamenti sminuenti e denigratori della figura paterna»
Dovrà versare all’ex coniuge 30 mila euro di risarcimento danni. Lo ha deciso il tribunale di Roma nei confronti dell’ex moglie di un «facoltoso imprenditore» con un brillante passato sportivo, rea di aver «ostacolato il funzionamento dell’affido condiviso con atteggiamenti sminuenti e denigratori della figura paterna». Alla signora, a sua volta una ricca ereditiera, i giudici hanno anche inflitto la sanzione dell’ammonizione invitandola «a una condotta improntata al rispetto del ruolo genitoriale dell’ex coniuge». E se le offese dovessero continuare, il collegio si dichiara pronto a rivedere le condizioni dell’affido.
Il figlio «sbagliato»
La vita dell’ex coppia, secondo i giudici della prima sezione civile, è improntata a «scaramucce di natura ritorsiva, continuativa e certamente reciproca». E, come spesso capita in casi del genere, le prime vittime dei dispetti tra ex coniugi sono i figli. In questo caso sono tre (una sorella e due fratelli più piccoli), ma chi subisce di più la contrapposizione fra i genitori è il terzo, a causa di qualche lieve difetto fisico. Un’audizione in tribunale , scrive il collegio, rivela un «atteggiamento di sostanziale ambivalenza del minore» nei confronti del genitore. Da una parte il ragazzo ammira il padre («Papà è un campione»), dall’altra si sente rifiutato: «Forse non mi vuole bene, lui pensa che io sia sbagliato».
L’ex marito «capro espiatorio»
È una sorta di Odi et amo a fronte del quale il collegio dispone un percorso terapeutico. Ma il ragazzo lo interrompe «improvvisamente a causa di un’indebita ingerenza materna». È questo intervento, in particolare, che i giudici rimproverano all’ex moglie. Perché ne deriva un danno per il figlio. La madre, si legge nella sentenza, invece di tentare di riavvicinarlo all’ex marito continua «a palesare la sua disapprovazione in termini screditanti». E arriva al punto di trovare «nel padre il “capro espiatorio” della disabilità e del meno brillante excursus sportivo e sociale» del ragazzo.